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ELEZIONI | “Nessuno vuole essere Robin”, sei candidati per il Comune

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L’Italia è notoriamente il paese di 60 milioni di commissari tecnici della nazionale di calcio. In Italia cresce il numero di scrittori e cala quello dei lettori. In politica, cresce il numero dei candidati e contestualmente cala quello dei votanti.

Nel 1992, nel pieno della tempesta di tangentopoli e quando era evidente che il sistema dei partiti storici che avevano traghettato l’Italia dal ventennio fascista alla costituzione repubblicana, era ormai al capolinea, si iniziava a parlare di seconda repubblica. Dopo le elezioni politiche di aprile, uscì un libretto di Giovanni Sartori dal titolo: “Seconda Repubblica? Sì, ma bene”. Il noto politologo fiorentino scomparso nel 2017 trattava dei benefici e dei rischi che si portava con sé una nuova strada politica, considerato il tracollo dei partiti tradizionali. Alla fine è andata come sappiamo: adesso si parla addirittura di terza repubblica, forse per vergogna della seconda che ha lasciato in dote il populismo.

A livello amministrativo, una delle prime novità di quel periodo fu la legge 81 del 1993 che introdusse l’elezione diretta del sindaco. Sembrò la conquista del secolo: finalmente i cittadini potevano scegliere, apparentemente senza intermediari, da chi far amministrare i propri comuni. Finiva l’epoca dei sindaci eletti nelle fumose segreterie dei partiti.

A due mesi esatti dalle elezioni amministrative dell’8 e 9 giugno, il quadro delle candidature per il posto che lascerà Filippo Mario Stirati dopo 10 anni è ormai completo. Le ultime caselle si sono riempite in questi giorni, nell’area progressista, con le candidature di Gabriele Tognoloni e da ultima quella di Leonardo Nafissi che si sono aggiunte ad Alessia Tasso e Francesco Della Porta.

Il centro-sinistra dunque per ora cammina, è proprio il caso di dirlo, nel solco della sua tradizione (chissà se saremo smentiti), quella cioè di dividersi e combattersi al proprio interno, disorientando sempre più i già disorientati elettori di quella parte. A Gubbio questa divisione è aggravata dalla totale inconsistenza del locale Partito Democratico, da oltre venti anni in balìa di lotte intestine per il potere (quale?) e mano a mano svuotato di elettori nelle tornate amministrative, molti rifugiatisi nelle sempre più frequenti liste civiche, ma moltissimi altri andati a ingrossare il partitone dell’astensione. Non pochi hanno invece direttamente saltato il fosso per accasarsi nell’altro campo.

Questa volta si è divisa anche la parte che ha sempre fatto della questione ambientale uno dei cavalli di battaglia e anche questo non è un bel segnale, visto che adesso entrambe le cementerie sono passate dal bruciare fiori al CSS.

Nel centro-destra, dopo il ritiro della candidatura di Angelo Baldinelli con Alternativa Popolare e l’annuncio dell’appoggio a Rocco Girlanda, forse spaventato dal pericolo concreto di non conquistare nemmeno il seggio come candidato sindaco, restano in ballo due soli nomi: Vittorio Fiorucci, candidato di tutto il centro-destra “unito” e Rocco Girlanda, appoggiato da una lista civica solo apparentemente trasversale.

Al momento Fiorucci e Girlanda sono impegnati per 2/3 del loro tempo e dei loro comunicati a bastonarsi con una certa foga, ben sapendo che, col ballottaggio praticamente certo al 100%, l’obiettivo unico è essere il candidato di area che riuscirà ad accedervi.

In questa lotta “fratricida” Rocco Girlanda è quello più a suo agio, intanto perché parte inseguendo, e in certi casi è sempre meglio essere il ghepardo che la gazzella. Ma soprattutto perché anni e anni di campagne elettorali a tutti i livelli avranno pur insegnato qualcosa. “Io metto la mia esperienza e le mie relazioni al servizio della città – ha annunciato Girlanda – e già ho sottoscritto un documento con cui ho rinunciato alla mia indennità da sindaco, per devolverla a Gubbio, secondo quanto delibererà il Consiglio Comunale. Sfido i miei avversari a fare lo stesso per una scelta etica e disinteressata”. Un vero e proprio manifesto del populismo che fa tornare alla mente l’evo monarchico, quando si potevano permettere di ricoprire questi ruoli solo pochi signorotti “possidenti”, più o meno decaduti. Come se la soluzione del rebus sia risparmiare lo stipendio del sindaco (peraltro neanche così ricco con l’impegno h24 e le responsabilità che richiede tale figura). Del resto siamo tutti più ricchi da quando è stato ridotto il numero dei parlamentari e chissenefrega se i territori più piccoli e marginali non avranno mai più rappresentanze. Ma questo è un altro discorso. Torniamo a noi.

Fiorucci è un novizio della politica attiva e ambire alla poltrona di sindaco (non così comoda di questi tempi) non è ovviamente la stessa cosa che correre per fare il capodieci o il presidente di famiglia ceraiola. Con l’aggiunta molto scomoda di dover ascoltare varie campane non solo politiche.

Riepilogando, i candidati alle elezioni amministrative 2024 saranno sei come già accaduto nel 2006, 2011 e 2019. In due occasioni ce ne furono quattro (1997 e 2001), in una cinque (2014) e in un’altra addirittura sette (la prima volta dell’elezione diretta nel 1993). A questo punto aspettiamo di conoscere i programmi, quelli realizzabili naturalmente. Delle fantasie ne facciamo volentieri a meno.

Ah, post scriptum: nelle divisioni naturalmente chi rischia di più è il centro-sinistra perché dall’altra parte quando si va al ballottaggio ci si tura il naso, mentre in quel campo è accaduto spesso che al secondo turno nella migliore delle ipotesi ci si astiene. Mai come questa volta ci potrebbero essere sorprese.

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